Una passeggiata tra le vie di officineMAMA
La mattina si va di corsa, si pensa soltanto ad arrivare in tempo a lavoro, ma a pausa pranzo o la sera, con calma, si riesce anche a passeggiare, a guardare con gli occhi alti verso il cielo e a capire luoghi della nostra città, tra colori, aggetti, giardini e palazzi. Ed è proprio in quel momento che si percepiscono i luoghi dell’abitare, le diverse scelte architettoniche, le esigenze che muovono i progetti, le qualità degli spazi e, perché no, anche le brutture.
Arrivando allo Studio, nella zona di Corso Trieste, ci capita di imbatterci in svariati scenari più o meno gradevoli, così abbiamo deciso di raccontarvi alcuni edifici del nostro patrimonio archiettonico che affascinano e “stravolgono” l’immagine del nostro quartiere ,e che, in questo periodo di relax, potreste visitare piuttosto velocemente…a volte basta alzare lo sguardo!
Partendo da Via Nomentana, imboccando Via Tripoli, si incontra (1) l’edificio per abitazioni che risolve la soluzione d’angolo” in maniera assolutamente moderna e inedita. Progettato dall’architetto Angelo Di Castro tra il 1949 e il 1954, con le sue convessità e concavità, l’edificio presenta delle grandi fasce continue che accompagnano e stemperano il cambio prospettico da una via all’altra. L’architetto approfondisce la morbidezza e la plasticità della curva nonché i rapporti chiaroscurali di luce e ombra enfatizzando le profondità degli imbotti dei balconi in netto contrasto con le superfici pure e planari dei parapetti. Le fasce continue seguono la facciata ricurva e quando questa diventa lineare si interrompono bruscamente, riducendosi in tre file di balconi proprio a sottolineare il cambio di curvatura.
Scendendo per via Tembièn si arriva su Viale Etiopia, di fronte al grande progetto urbano di Mario Ridolfi (2) e Wolfgang Frankl ultimato nel 1955. Otto case a torre su una superfice di 1200 mq, alte 31 metri e profonde 23, danno vita a circa 300 appartamenti. Particolarmente semplici e austeri, le torri dagli angoli smussati e con coperture a falda rivestite, presentano tutte lo stesso principio compositivo e stilistico. A distinguersi tra loro sono soltanto i motivi delle piastrelle di maiolica che si combinano in 14 differenti soluzioni e i profili delle ringhiere, generando una omogeneità di fondo senza però mai scadere nella copia. Nonostante la semplicità stilistica, nel loro insieme, gli otto edifici scandiscono il viale alternando i pieni ai vuoti generati dai giardini privati dei palazzi facendo così assumere alla strada un carattere monumentale molto simile a quello della vicina Viale Libia.
Arrivati su viale Libia, l’edificio per abitazioni di Ugo Luccichenti (3) destabilizza la serialità compositiva dei fronti della strada con i suoi piani sfalsati resi visibili in prospetto. La facciata, così sottile quasi come un foglio, sembra apposta al volume dell’edificio e, con le sue vetrate oblique della scala interna e le sue persiane di color rosso, vivacizza e movimenta un lotto dalla forma non regolare e particolarmente ristretto.
Siamo quasi in prossimità dello Studio di officineMAMA ma questa volta proseguiamo oltre; a metà della salita di via Lago di Lesina incontriamo un piccolo esempio di architettura fascista che combina però sapientemente razionalismo ed espressionismo. (4) Si tratta del cinema Lux, ex-cinema Alcyone, realizzato da Riccardo Morandi nel ’49, ciò che maggiormente colpisce, oggi come allora, sono le sue geometrie severe e le finestre a nastro, che lasciano intravedere la scala a rampa unica sorretta da un solo pilastro e sospesa da tiranti. Dopo settant’anni il cinematografo continua a investire ruolo centrale nella vita di quartiere e ad interpretare abilmente i cambi di funzionalità e di fruibilità del cinema contemporaneo. Infatti, grazie anche ai lavori di ristrutturazione del 1998, l’edificio è diventato un multisala con sei distinti ambienti a maxi schermo. Quando le luci della città si fanno più fioche, le grandi vetrate del prospetto principale si accendono, illuminando la scala, e creano un continuum tra interno ed esterno facendo dell’edificio una vera e propria lanterna urbana.
Una piccola pausa prima di proseguire? Fermiamoci per qualche minuto nella nuova piazza della stazione della metropolitana Sant’Agnese/Annibaliano (5), progetto dello Studio ABDR Associati ultimato nel 2011. L’intervento si inserisce in un grande vuoto urbano lasciato in degrado e dove, ora, prendono forma piccoli volumi sfalsati, pensiline e vari luoghi di sosta raccordati tra loro da gradonate e sistemi di rampe. Un luogo, quindi, dove è possibile sostare e astrarsi dai rumori della città. Da qui si apre una grande piazza ipogea che funge da entrata alla metro B1. Cemento faccia a vista, elementi smussati e sagomati e luci ad incasso movimentano e smaterializzano i confini di questa grande corte interna. Le lunghe scale mobili en plein air e gli esili vani ascensore conferiscono alla piazza grande profondità dove le ombre possono esprimere la loro mutevole e dinamica manifestazione.
Giunti a Corso Trieste, appena dopo Piazza Istria, tra gli alti e ombreggianti filari alberati centrali e i prospetti architettonici maestosi e signorili, spiccano le due palazzine speculari di Ludovico Quaroni ai civici 142 e 146.(6) L’architetto ha ben pensato che l’eleganza e lo stile di quartiere si dovessero tradurre nei suoi edifici in semplicità; così spoglia le facciate degli edifici da inutili orpelli e si apre verso un design minimal ed essenziale in cui l’unico movimento in prospetto è affidato al ritmo sequenziale di finestre e balconi. Un leggero arretramento del corpo centrale, accennato nel primo edificio da una finestratura a nastro e nel secondo da un loggiato, sottolinea l’assialità di tutto il volume. Sono sufficienti dei piccoli dettaglio per far distinguere le due architetture tra i tanti palazzi vicini: le mensole finemente arrotondate sotto le finestre; i parapetti posti in linea con le sottili fasce marcapiano; i portoni in profilati di ferro e vetro ondulato che fanno penetrare la luce all’interno dei cortili interni. A caratterizzare l’intero progetto, quindi, è sicuramente il senso della misura, mai sinonimo di banalità ma capace di generare, con pochissimi espedienti architettonici, singolari effetti scenografici.
Ormai il sole è alto e comincia anche qualche cenno di stanchezza, tuttavia, non possiamo non spingerci poco oltre ed immergerci, tra via Chiana e via Tagliamento, nel fiabesco mondo del “Quartiere Coppedè”, noto proprio con il nome del suo architetto. (7) Dalla piazza con la Fontana delle Rane in posizione centrale, un maestoso arco monumentale ci introduce all’interno dell’isolato. Qui la natura si fa scultura e l’arte architettura. Ci si addentra in un’atmosfera mistica e fiabesca in cui ogni dettaglio diventa un esercizio di stile. Il liberty, che accomuna tutto l’intervento, viene interpretato da Coppedè in maniera del tutto personale, accostando torri medioevali, finestre manieristiche, fregi barocchi e motivi art Deco. Il risultato è un vero pastique architettonico fatto di balaustre, fregi, stucchi, mascheroni, tutti portati all’esasperazione formale e che rendono questo quartiere degli anni ’20 del ‘900 uno tra i più singolari del movimento moderno italiano.
Duemilaseicento metri, quattordicimila passi e trentasette minuti per scoprire alcuni degli episodi architettonici che si distinguono e che connotano il quartiere del II Municipio. Duemilatrecento metri, quattordicimila passi e trentasette minuti per capire come, dietro ad una forma, si cela un pensiero profondo sotteso alla qualità dell’abitare, alla fruibilità spaziale e alla percezione visiva. E se vi resta ancora qualche altro minuto, passate da qui: noi vi aspettiamo.
Buone vacanze